Il 30 Aprile, ancora in pieno lockdown, Gabriele Vacis, un luminare del Teatro italiano contemporaneo, fece un post sulla sua bacheca personale di Facebook, lanciando al mondo una visione finalmente rivoluzionaria del Teatro e del suo uso e consumo per una società che con il covid-19 dovrà imparare a conviverci. Questa lettera aperta fu pubblicata anche da Repubblica.
La sua riflessione sposta lo sguardo oltre le convenzioni ormai stantie che coinvolgono soprattutto il Teatro all’italiana. Un sogno che coglie l’occasione e che parla diapertura e inclusione, quindi di scambio culturale sempre attivo e rigenerante. Un’utopia? Forse.
Ma il suo sguardo è concreto, anche nelle dinamiche più tecniche e meno filosofiche. Infatti estrapolando alcuni concetti, pensa proprio a tutto e dice:
“Apriamoli sempre! Gli spettatori potranno entrare ad ogni ora del giorno. Naturalmente non si potrà entrare più di cento o duecento per volta, ma l’estensione del tempo si incrementeranno le presenze. Via le poltrone Torniamo alle origini. Così si potrà rispettare la distanza fra le persone. Uno spettatore per palchetto o gruppi di congiunti. Prenoti on-line, come nei musei, paghi 10 euro e puoi stare quanto vuoi. Ti misurano la febbre quando entri e nel foyer puoi ritirare gli sgabelli pieghevoli . Le maschere saranno addestrate alla sanificazione che sarà effettuata periodicamente durante la giornata Si coinvolgeranno le imprese e gli enti locali e le aziende sanitarie che potranno fornire algoritmi di gestione e movimentazione, le aziende della moda per l’abbigliamento delle maschere che avranno mansioni più creative ”
E poi, con una visione più poetica ma molto realistica: “ Portiamo in scena tutto: le prove, le letture dei testi, l’allenamento degli attori, l’allestimento delle luci e dei suoni. Nel lavoro quotidiano , nel training, nelle lezioni dei maestri c’è tensione, c’è cultura, c’è scoperta comune, c’è tanta bellezza. Smettiamola di tenercela per noi. Il Teatro più che creazione di forme è creazione di relazioni tra le persone. Questa rivoluzione richiede una grande collaborazione tra gli artisti, i tecnici, gli organizzatori, fino alle maschere, che dovranno ridefinire i propri ruoli, ampliando le loro competenze all’arte, alla pedagogia e alla cura della persona. Il che comporta una redistribuzione radicale di paghe e retribuzioni, più equa. Gli attori rinunceranno a un po’ di vanità in favore della comprensione. I manager rinunceranno a un po’ della loro sufficienza efficientistica in favore della solidarietà ”
E ancora: “L’obiettivo sarà la partecipazione comune alla creazione dell’ evento teatro. Cogliamo l’occasione per trasformare finalmente i teatri da luoghi esclusivi in spazi d’inclusione.”
Ecco qui la sua lettera aperta integrale
E’ compito della politica crederci, credere nella vitalità della cultura. Ripartiamo dalle sue parole per un nuovo Teatro!
Gabriele Vacis è un regista teatrale, drammaturgo, documentarista, sceneggiatore e pedagogo teatrale nato a Settimo Torinese. Esordisce nel 1984 con “Esercizi sulla tavola di Mendeleev”, e nel 1985, con “Elementi di struttura del sentimento” reintroduce la narrazione a Teatro vincendo molti premi importanti.
Essendo architetto, laureato al politecnico di Torino, si impegna a realizzare il “Piano di Ambiente culturale per la città di Settimo Torinese” pedonalizzando il centro storico e rivalutando le vecchie fabbriche trasformandole in spazi per la cultura. Nell’88 inizia la sua carriera da docente presso la Scuola d’arte drammatica Paolo Grassi a Milano.
Nel 1989 la sua prima, di tante opere liriche: “L’Alfiere”.
Vacis nei seguenti anni ’90 da il “La” al Teatro di narrazione insieme a Marco Paolini con “il racconto del Vajont” nel 1994, “Liberi Tutti” nel 1991 e “Adriatico” nel 1987, andando a ritroso.
Con il Teatro di narrazione; l’attore nudo in uno spazio vuoto, influenza il mondo della comunicazione mediatica: il Teatro, la Televisione, il giornalismo e anche la politica.
Negli ultimi anni 2000 si dedica al documentarismo, mischiando i linguaggi con un forte senso pedagogico. In particolare: “Uno scampolo di paradiso”
Nel 2008 dirige TAM (Teatro e Arti Multimediali) con Il Palestinian National Theatre a Gerusalemme e il progetto “La Paura SiCura” (qui il Trailer e un’intervista).
Vacis è innovativo anche nel metodo che adotta da regista: la Schiera, che sucessivamente fa propria Emma Dante, rimaneggiandola come una matrona che mette le mani in pasta e ricreandola, facendone il pilastro fondamentale del suo metodo.
Anche Shakespeare, Grotowski e Lee Strasberg facevano una cosa simile; Vacis però se la ritrovò durante un’improvvisazione e da lì non la mollò mai più.
Nell’annuncio di un suo seminario, Vacis la introduce così: “Quelli che fanno la schiera” costituiscono una tribù trasversale del teatro italiano. E se gli otto passi sono sempre un buon inizio, il loro valore è innegabile quando si tratta di smontare sovrastrutture recitative acquisite, di eliminare rigidità sedimentate che intralciano i movimenti, di grattare via incrostazioni che viziano atteggiamenti, voce, gesti e di fare tabula rasa per partire o ripartire dal grado zero, perchè come scrive Peter Brook: affinchè accada un qualcosa che abbia qualità, è necessario che si crei uno spazio vuoto”.