Italy, 1987. (Photo by Luciano Viti/Getty Images)
Gli Inizi e la Formazione
Miles Davis nasce il 26 maggio 1926 ad Alton, nell’Illinois, ma cresce a East St. Louis, una città con una vivace comunità musicale. Il padre, Dr. Miles Dewey Davis Jr., è un dentista benestante, mentre la madre, Cleota Mae Davis, è una violinista dilettante. La famiglia Davis appartiene alla classe media afroamericana, una posizione relativamente privilegiata che consente a Miles di ricevere una buona educazione e un’introduzione formale alla musica.
Miles Davis riceve la sua prima tromba a tredici anni, e sotto la guida di Elwood Buchanan, un insegnante severo ma dedicato, sviluppa rapidamente le sue abilità. Buchanan insiste su un suono chiaro e privo di vibrato, una caratteristica che diventerà distintiva nel suono di Davis.
Nel 1944, Miles Davis si trasferisce a New York City per frequentare la prestigiosa Juilliard School of Music. Tuttavia, la vita accademica si rivela meno attraente delle notti nei club di Harlem, dove suona con leggende del jazz come Charlie Parker e Dizzy Gillespie. Questa immersione nella scena bebop segna un momento cruciale nella formazione artistica di Davis.
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Gli Anni ’40: Bebop e Collaborazioni
Gli anni ’40 rappresentano un periodo cruciale nella formazione artistica di Miles Davis e nella sua ascesa come figura di spicco nel panorama jazzistico. Dopo il trasferimento a New York City nel 1944 per frequentare la Juilliard School of Music, Davis si immerge rapidamente nella scena bebop di Harlem. È qui che inizia a suonare con alcuni dei musicisti più influenti dell’epoca, tra cui Charlie Parker e Dizzy Gillespie.
Collaborazione con Charlie Parker
La collaborazione con Charlie Parker segna un punto di svolta nella carriera di Miles Davis. Parker, un innovatore del bebop, riconosce immediatamente il talento di Davis e lo invita a unirsi al suo gruppo. Tra il 1945 e il 1948, Davis partecipa a numerose sessioni di registrazione con Parker, contribuendo a ridefinire il jazz. Alcuni dei brani più noti di questo periodo includono “Ko-Ko“, “Billie’s Bounce“, e “Now’s the Time“.
Queste sessioni, note come le Charlie Parker’s Savoy Sessions, mettono in luce un giovane Davis che, nonostante la sua relativa inesperienza, dimostra di poter tenere il passo con i giganti del bebop. Il suo suono distintivo, caratterizzato da un tono pulito e privo di vibrato, si distingue nel contesto frenetico del bebop, offrendo un contrasto interessante e un’anticipazione del suo futuro stile cool.
Birth of the Cool e l’Innovazione del Cool Jazz
Nel 1949, Miles Davis intraprende un progetto che cambierà il corso del jazz moderno: la registrazione di “Birth of the Cool“. Questo album rappresenta una svolta significativa dal bebop verso il cool jazz, un sottogenere caratterizzato da arrangiamenti più complessi e un approccio più rilassato e lirico.
Birth of the Cool è frutto della collaborazione tra Davis e musicisti come Gerry Mulligan, Lee Konitz, e l’arrangiatore Gil Evans. Evans, in particolare, gioca un ruolo fondamentale, contribuendo agli arrangiamenti orchestrali che danno all’album la sua struttura unica. Brani come “Jeru” e “Boplicity” rappresentano perfettamente questa nuova estetica musicale, caratterizzata da una fusione di influenze classiche e jazzistiche.
L’album, pur non ottenendo un successo immediato, viene riconosciuto retrospettivamente come una pietra miliare del jazz. Introduce elementi come l’uso di strumenti non convenzionali (come il corno francese e il tuba), dinamiche più sottili e un senso di spazio e freschezza che contrastano con l’intensità del bebop.
Contesto Storico e Socio-Culturale
Il periodo degli anni ’40 è segnato da profonde trasformazioni sociali e culturali negli Stati Uniti. Il jazz, in quanto forma d’arte, riflette e risponde a questi cambiamenti. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, c’è un rinnovato interesse per l’innovazione e l’espressione personale, elementi che il bebop incarna perfettamente. Miles Davis, insieme ai suoi contemporanei, contribuisce a questa rivoluzione, ridefinendo cosa può essere il jazz.
La scena di Harlem è particolarmente vibrante, con club come il Minton’s Playhouse e il Royal Roost che diventano centri nevralgici per l’innovazione musicale. In questo ambiente dinamico, Miles Davis trova l’ispirazione e le opportunità per sviluppare il suo stile unico, ponendo le basi per una carriera che influenzerà il jazz per decenni a venire.
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Evoluzione del Suono
Durante gli anni ’40, il suono di Miles Davis evolve rapidamente. Influenzato inizialmente dai pionieri del bebop, inizia a sviluppare un approccio più personale e introspective. La sua collaborazione con Parker e Gillespie lo spinge a esplorare nuovi territori musicali, mentre i progetti come “Birth of the Cool” gli permettono di sperimentare con arrangiamenti e strutture compositive innovative.
L’approccio di Davis alla tromba, caratterizzato da un uso economico delle note e una preferenza per le linee melodiche semplici e pulite, inizia a emergere in questo periodo. Questo stile diventerà un tratto distintivo della sua musica e un’influenza duratura su generazioni di musicisti.
In sintesi, gli anni ’40 sono un decennio di crescita esponenziale per Miles Davis, un periodo in cui egli si afferma come una delle voci più importanti del jazz, gettando le basi per le innovazioni che caratterizzeranno il resto della sua carriera.
Gli Anni ’50: Hard Bop e Modale
Gli anni ’50 rappresentano un periodo di intensa evoluzione e innovazione per Miles Davis. In questo decennio, Davis si afferma come uno dei musicisti più influenti del jazz, guidando lo sviluppo dell’hard bop e pionierizzando il jazz modale, culminando con il capolavoro “Kind of Blue“.
Il Primo Grande Quintetto
Nel 1955, Miles Davis forma il suo primo grande quintetto, un gruppo che include John Coltrane al sax tenore, Red Garland al pianoforte, Paul Chambers al contrabbasso e Philly Joe Jones alla batteria. Questo quintetto è conosciuto per il suo virtuosismo e la sua capacità di improvvisazione collettiva. Il loro primo album insieme, “‘Round About Midnight” (1957), include brani come “Bye Bye Blackbird” e la title track “‘Round Midnight“, un pezzo di Thelonious Monk che Davis interpreta con un tocco personale e una profondità emotiva unica.
Milestones e l’Inizio del Jazz Modale
A metà degli anni ’50, Davis inizia a esplorare il jazz modale, un approccio che si concentra sull’uso di scale modali piuttosto che sulle tradizionali progressioni di accordi. Questo nuovo stile permette maggiore libertà melodica e armonica, aprendo nuove possibilità per l’improvvisazione. Nel 1958, Davis pubblica “Milestones“, un album che prefigura questa rivoluzione modale. Brani come la title track “Milestones” mostrano l’uso di scale modali e segnalano una svolta nel suo approccio compositivo.
Kind of Blue: Il Capolavoro del Jazz Modale
Nel 1959, Miles Davis registra “Kind of Blue“, un album che non solo definisce il jazz modale, ma che viene anche acclamato come uno dei più grandi album jazz di tutti i tempi. Registrato in due sessioni presso i Columbia 30th Street Studio di New York City, “Kind of Blue” è un’opera che cattura l’essenza del jazz modale con una semplicità e una profondità emotiva senza precedenti.
Miles Davis riunisce un ensemble stellare per questa registrazione, tra cui John Coltrane al sax tenore, Cannonball Adderley al sax contralto, Bill Evans al pianoforte (sostituito da Wynton Kelly in “Freddie Freeloader”), Paul Chambers al contrabbasso e Jimmy Cobb alla batteria. Ogni musicista apporta una sensibilità unica al progetto, contribuendo alla creazione di un suono coeso e innovativo.
I Brani di Kind of Blue
L’album si apre con “So What“, un pezzo che esemplifica il jazz modale con il suo riff di basso introduttivo e il dialogo call-and-response tra il contrabbasso di Paul Chambers e il pianoforte di Bill Evans. Davis introduce il tema principale con il suo caratteristico suono di tromba, seguito dalle assoli di Coltrane e Adderley che esplorano liberamente la scala modale.
“Freddie Freeloader”, l’unico brano dell’album suonato con Wynton Kelly al pianoforte, è un blues in 12 battute che mostra una semplicità accattivante e un groove rilassato. Kelly’s piano playing adds a touch of bluesy swing, providing a contrast to the more contemplative mood of other tracks.
“Blue in Green” è una ballata introspective composta da Davis e Evans, caratterizzata da un’atmosfera malinconica e sognante. Il delicato interplay tra la tromba di Davis e il pianoforte di Evans crea un paesaggio sonoro di rara bellezza emotiva.
“All Blues” è un altro blues modale in 6/8, con un tema semplice ma accattivante. Il brano evolve attraverso assoli lirici e interazioni tra i musicisti che enfatizzano il senso di spazio e dinamica.
L’album si conclude con “Flamenco Sketches“, un brano che esplora cinque diverse scale modali, ognuna delle quali fornisce una piattaforma per l’improvvisazione dei musicisti. La struttura libera e l’approccio contemplativo di questo pezzo rappresentano perfettamente l’essenza del jazz modale.
Impatto e Eredità di Kind of Blue
Kind of Blue è accolto con entusiasmo dalla critica e dal pubblico, diventando rapidamente uno degli album jazz più venduti di tutti i tempi. La sua influenza si estende ben oltre il jazz, ispirando musicisti di vari generi, dal rock alla musica classica. Artisti come Herbie Hancock, Chick Corea, e John McLaughlin citano “Kind of Blue” come un’ispirazione fondamentale nelle loro carriere.
L’album è lodato per la sua semplicità e la profondità emotiva, qualità che lo rendono accessibile anche a chi non è un esperto di jazz. La capacità di Miles Davis di creare un’opera così coerente e innovativa, utilizzando un approccio relativamente semplice come il jazz modale, testimonia la sua genialità e la sua visione artistica.
Altri Album Significativi degli Anni ’50
Oltre a “Kind of Blue“, Miles Davis incide altri album significativi durante gli anni ’50, contribuendo ulteriormente all’evoluzione del jazz. “Miles Ahead” (1957), un progetto orchestrale arrangiato da Gil Evans, segna una collaborazione fruttuosa che esplorerà nuove sonorità e strutture. L’album include brani come “The Duke” e “Miles Ahead“, caratterizzati da arrangiamenti complessi e un’integrazione fluida tra la tromba di Davis e l’orchestra.
“Porgy and Bess” (1958), un altro progetto con Gil Evans, è un adattamento jazz dell’opera di George Gershwin. Questo album fonde elementi di jazz e musica classica, creando un suono ricco e sofisticato. Brani come “Summertime” e “It Ain’t Necessarily So” sono esempi di come Davis e Evans riescano a trasformare materiale classico in innovazione jazzistica.
Gli anni ’50 sono un decennio di trasformazione e innovazione per Miles Davis. La formazione del primo grande quintetto, l’esplorazione del jazz modale e la creazione di capolavori come “Kind of Blue” definiscono questo periodo come uno dei più prolifici e influenti della sua carriera. Davis non solo ridefinisce il jazz, ma pone le basi per le future evoluzioni del genere, consolidando la sua posizione come uno dei più grandi innovatori della musica del XX secolo.
Gli Anni ’60: Innovazione e Sperimentazione
Gli anni ’60 rappresentano un periodo di intensa innovazione e sperimentazione per Miles Davis, consolidando la sua reputazione come uno degli artisti più influenti e visionari del jazz. Durante questo decennio, Davis continua a spingere i confini del genere, formando nuovi gruppi, esplorando nuove strutture compositive e integrando influenze d’avanguardia nella sua musica.
Il Secondo Grande Quintetto
Nel 1964, Miles Davis forma il suo secondo grande quintetto, composto da Wayne Shorter al sax tenore, Herbie Hancock al pianoforte, Ron Carter al contrabbasso e Tony Williams alla batteria. Questo gruppo è celebrato per la sua capacità di innovare costantemente, esplorando nuove strutture compositive e sonorità che ridefiniscono il jazz.
E.S.P. (1965)
Il primo album di questo quintetto, “E.S.P.” (1965), segna l’inizio di una serie di registrazioni rivoluzionarie. L’album è caratterizzato da una complessa interazione tra i musicisti e da composizioni innovative. Brani come “E.S.P.” e “Agitation” mostrano l’abilità del gruppo di combinare l’improvvisazione libera con strutture compositive rigide, creando un suono unico e avvincente.
Miles Smiles (1967)
“Miles Smiles” (1967) è un altro album fondamentale, caratterizzato da composizioni complesse e dinamiche di gruppo straordinarie. Brani come “Footprints” di Wayne Shorter e “Freedom Jazz Dance” di Eddie Harris evidenziano l’approccio innovativo del quintetto, che fonde l’improvvisazione con una struttura formale sofisticata.
Sorcerer (1967) e Nefertiti (1968)
Gli album “Sorcerer” (1967) e “Nefertiti” (1968) continuano questa esplorazione. “Sorcerer” include composizioni come “Prince of Darkness” e “Masqualero“, che mostrano l’influenza crescente di Wayne Shorter come compositore. “Nefertiti” è noto per la title track, in cui i musicisti ripetono il tema principale senza improvvisare, un’innovazione che sottolinea l’attenzione del gruppo alla composizione e alla struttura.
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Influenze d’Avanguardia e Compositori Contemporanei
Durante gli anni ’60, Miles Davis inizia a incorporare elementi di musica d’avanguardia e influenze di compositori classici contemporanei come Karlheinz Stockhausen e Luciano Berio. Davis è affascinato dalle tecniche di composizione elettronica e dalle strutture sonore sperimentali, che influenzano il suo approccio alla musica.
Filles de Kilimanjaro (1968)
Questo periodo culmina con l’album “Filles de Kilimanjaro” (1968), che prefigura la svolta elettrica di Davis. Registrato con un gruppo che include Wayne Shorter, Herbie Hancock, Ron Carter, Tony Williams e il pianista elettrico Chick Corea, l’album mostra una fusione interessante di jazz e rock.
Brani come “Frelon Brun” e “Mademoiselle Mabry” riflettono questa fusione, con l’uso di strumenti elettrici e strutture ritmiche che anticipano la rivoluzione jazz-rock degli anni ’70. “Mademoiselle Mabry” in particolare, è una composizione influenzata dalla musica di Jimi Hendrix, evidenziando l’apertura di Davis verso le nuove tendenze musicali dell’epoca.
Il Contesto Storico e Socio-Culturale
Gli anni ’60 sono un periodo di grande fermento sociale e politico negli Stati Uniti e nel mondo. Il movimento per i diritti civili, le proteste contro la guerra del Vietnam e i cambiamenti culturali radicali influenzano profondamente la musica e l’arte. Miles Davis, sempre attento agli sviluppi sociali, riflette queste trasformazioni nella sua musica, spingendo i confini del jazz verso nuovi territori.
Il secondo grande quintetto di Davis è anche un simbolo di questi cambiamenti. I membri del gruppo, giovani e innovativi, rappresentano una nuova generazione di musicisti afroamericani che stanno ridefinendo il jazz. L’interazione tra i membri del quintetto, basata su un’eguaglianza creativa e un’innovazione costante, rispecchia i valori di libertà e cambiamento dell’epoca.
L’Eredità degli Anni ’60
La musica di Miles Davis degli anni ’60 ha un impatto duraturo sul jazz e oltre. Le innovazioni del secondo grande quintetto e l’integrazione di elementi d’avanguardia preparano il terreno per la svolta elettrica di Davis negli anni ’70. Gli album di questo periodo continuano a essere studiati e ammirati per la loro complessità e bellezza.
In sintesi, gli anni ’60 vedono Miles Davis spingere ulteriormente i confini del jazz, formando uno dei gruppi più innovativi nella storia del genere e incorporando influenze d’avanguardia che prefigurano le rivoluzioni musicali future. Questo decennio di intensa creatività e sperimentazione consolida la sua posizione come uno dei più grandi innovatori della musica del XX secolo.
Gli Anni ’70: Jazz-Rock e Fusion
Il 1969 segna una svolta decisiva nella carriera di Miles Davis con l’album “In a Silent Way”. Questo progetto introduce elementi di rock e funk nel jazz, segnando l’inizio della fusion. La registrazione, che include musicisti come Joe Zawinul, John McLaughlin e Chick Corea, è caratterizzata da lunghe jam session e un uso innovativo dell’elettronica.
Nel 1970, Miles Davis pubblica “Bitches Brew”, un album che sconvolge il mondo del jazz. Le sessioni di registrazione si sono svolte tra il 19 e il 21 agosto 1969 presso i Columbia Studios di New York. Con brani come “Pharaoh’s Dance” e la title track “Bitches Brew”, Davis fonde jazz, rock e musica d’avanguardia in un’esperienza sonora radicalmente nuova. Questo album, registrato con un gruppo esteso che include Wayne Shorter, Lenny White, Jack DeJohnette, Chick Corea, Joe Zawinul, John McLaughlin, Dave Holland, Bennie Maupin e altri, diventa uno dei lavori più influenti nella storia del jazz. “Bitches Brew” è considerato un capolavoro per il suo approccio rivoluzionario alla struttura musicale, con improvvisazioni collettive e una produzione che utilizza tecniche di sovraincisione e editing innovativo.
“Bitches Brew” rappresenta un momento di rottura con le tradizioni jazzistiche precedenti, introducendo una libertà espressiva senza precedenti. L’album combina ritmi complessi e sonorità elettriche che creano una tessitura sonora ricca e stratificata. I brani, spesso lunghi e articolati, offrono un’esperienza d’ascolto immersiva che richiede un’attenzione profonda e ripetuti ascolti per essere apprezzata nella sua interezza. Questo lavoro ha non solo ridefinito i confini del jazz, ma ha anche avuto un impatto duraturo su molti altri generi musicali, influenzando profondamente la musica rock, funk e persino la musica elettronica. La capacità di Miles Davis di adattare e incorporare diverse influenze musicali in un’unica opera coesa è ciò che rende “Bitches Brew” un pilastro fondamentale nella storia della musica contemporanea.
Durante gli anni ’70, Miles Davis continua a esplorare la fusion con album come “A Tribute to Jack Johnson” (registrato nel 1970 e pubblicato nel 1971), una colonna sonora per il documentario sul pugile Jack Johnson, e “On the Corner” (registrato nel giugno e luglio del 1972 e pubblicato nello stesso anno), un album che mescola funk, jazz e influenze indiane. Brani come “Black Satin” e “One and One” mostrano l’abilità di Davis nel fondere generi diversi in un’unica visione coesa. La sua capacità di innovare e di mescolare diversi stili musicali ha reso Miles Davis una figura centrale nella storia della musica, sempre in evoluzione e mai soddisfatto di ripetersi. La sua opera negli anni ’70 rappresenta una delle vette della sua carriera, dimostrando come il jazz possa essere una forma d’arte dinamica e in continua trasformazione.
Gli Anni ’80: Il Ritorno e l’Elettronica
Dopo un periodo di ritiro a metà degli anni ’70, Miles Davis ritorna sulla scena musicale negli anni ’80 con un rinnovato interesse per la musica pop e l’elettronica. Album come “The Man with the Horn” (1981) segnano il suo ritorno, caratterizzati da un suono più accessibile e commerciale. Questo album, che vede la partecipazione di musicisti come Bill Evans e Marcus Miller, rappresenta una transizione importante nel suono di Davis, integrando elementi di funk che saranno ancora più evidenti nei lavori successivi.
Uno dei momenti più significativi degli anni ’80 per Miles Davis è la pubblicazione di “Tutu” nel 1986. Questo album, prodotto da Marcus Miller, è un capolavoro che incorpora elementi di funk e musica elettronica, creando un suono moderno e innovativo. Brani come “Tutu” e “Portia” sono esempi emblematici di come Davis abbia saputo rinnovarsi, mantenendo la sua inconfondibile voce musicale pur esplorando nuovi orizzonti sonori. Marcus Miller ha svolto un ruolo fondamentale in questo progetto, non solo come produttore ma anche come compositore e polistrumentista, suonando basso, sintetizzatori e altri strumenti. L’uso di sintetizzatori e drum machine rende questo album particolarmente distintivo nel catalogo di Davis, segnando una svolta verso sonorità contemporanee che mescolano jazz, funk e elementi elettronici.
Durante questo periodo, Miles Davis collabora con artisti di generi diversi, dimostrando una versatilità e una capacità di adattamento straordinarie. Collabora con icone come Prince e la band Scritti Politti, sperimentando con suoni e stili diversi. Queste collaborazioni non solo ampliano il suo pubblico, ma rafforzano anche la sua reputazione di innovatore senza confini. La sua presenza ai festival e concerti in tutto il mondo consolidano il suo status di icona globale, sempre in prima linea nel ridefinire i confini del jazz e della musica contemporanea.
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Nel corso degli anni ’80, Miles Davis non solo abbraccia la tecnologia musicale emergente, ma lo fa con una sensibilità che riesce a mantenere intatta l’essenza del suo stile. “Tutu” e altri album di questo periodo sono testimonianze di un artista in continua evoluzione, capace di assimilare nuove tendenze e di reinterpretarle attraverso la sua lente unica. La collaborazione con Marcus Miller è particolarmente significativa, poiché Miller diventa un partner creativo chiave, aiutando Davis a navigare il nuovo panorama musicale con maestria e innovazione.
Gli anni ’80 rappresentano quindi un periodo di rinascita per Miles Davis, in cui la fusione di funk ed elettronica diventa la cifra distintiva del suo suono, portando il jazz verso nuove e inesplorate direzioni.
Eredità e Influenza
Miles Davis muore il 28 settembre 1991, lasciando un’eredità indelebile nella storia del jazz e della musica in generale. La sua capacità di reinventarsi costantemente e di innovare ha ispirato generazioni di musicisti. Davis non è stato solo un trombettista eccezionale, ma anche un pioniere che ha spinto i confini del jazz in nuove e inaspettate direzioni.
La sua influenza si estende oltre il jazz, toccando generi come il rock, il funk e la musica elettronica. Album come “Kind of Blue“, “Bitches Brew” e “Tutu” rimangono pietre miliari, studiati e ammirati da musicisti e appassionati di tutto il mondo.
Miles Davis ha lasciato un segno profondo nella cultura musicale, contribuendo a trasformare il jazz in un’arte viva e in continua evoluzione. La sua eredità vive nei numerosi artisti che hanno seguito le sue orme, continuando a esplorare e ridefinire il jazz. La sua vita e la sua musica rappresentano un viaggio straordinario attraverso la storia del jazz, dalla nascita del cool jazz alla fusione con il rock e l’elettronica. Ogni decade della sua carriera segna un capitolo di innovazione e trasformazione, rendendo la sua biografia non solo una storia di un grande musicista, ma anche una cronaca della continua evoluzione della musica.
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Quasi irriverente ridurre Miles Davis in una playlist. Si intenda questa nostra proposta come un assaggio del poliedrico artista, i brani sono stati inseriti saltando volontariamente fra le epoche, cioè fra gli stili che lui ha attraversato, sempre da capostipite.
Un Viaggio Attraverso le Epoche
- “So What” – Kind of Blue (1959)
- Un brano iconico del jazz modale, che rappresenta uno dei momenti più alti della carriera di Davis e un punto di riferimento nel jazz.
- “Bitches Brew” – Bitches Brew (1970)
- Un pezzo rivoluzionario che ha cambiato il volto del jazz, introducendo elementi di rock e avanguardia.
- “In a Silent Way/It’s About That Time” – In a Silent Way (1969)
- Una composizione che segna l’inizio dell’era fusion, con un’atmosfera meditativa e l’uso innovativo dell’elettronica.
- “Tutu” – Tutu (1986)
- Un brano che combina funk ed elettronica, prodotto da Marcus Miller, simbolo del ritorno di Davis negli anni ’80.
- “Freddie Freeloader” – Kind of Blue (1959)
- Un classico del blues-jazz, con una struttura semplice ma profondamente espressiva.
- “Pharaoh’s Dance” – Bitches Brew (1970)
- Un’altra pietra miliare del jazz fusion, caratterizzata da lunghe improvvisazioni e una complessa tessitura sonora.
- “Milestones” – Milestones (1958)
- Un brano che preannuncia l’era del jazz modale, con un ritmo incalzante e una struttura innovativa.
- “Seven Steps to Heaven” – Seven Steps to Heaven (1963)
- Un pezzo che rappresenta la transizione di Davis verso il jazz post-bop, con una melodia accattivante e dinamica.
- “Human Nature” – You’re Under Arrest (1985)
- Una reinterpretazione di una hit pop, che mostra la capacità di Davis di reinventare brani di altri generi attraverso il suo stile unico.
- “Spanish Key” – Bitches Brew (1970)
- Un esempio di come Davis abbia integrato influenze di musica mondiale, in questo caso ritmi e scale ispaniche.
- “Nefertiti” – Nefertiti (1968)
- Un pezzo che rappresenta la fine del periodo acustico di Davis, con una composizione circolare e ipnotica.
- “Amandla” – Amandla (1989)
- Un brano che combina elementi di jazz, funk e musica africana, prodotto da Marcus Miller, che segna uno degli ultimi grandi lavori di Davis.
- “Round Midnight” – Round About Midnight (1957)
- Una delle interpretazioni più celebri di questo standard jazz, che mostra il lato più lirico e notturno di Davis.
- “Black Satin” – On the Corner (1972)
- Un brano che mescola funk, jazz e influenze indiane, rappresentando l’era più sperimentale di Davis negli anni ’70.
- “Jean Pierre” – We Want Miles (1982)
- Un pezzo energico e funky, che è diventato un favorito nei concerti dal vivo di Davis negli anni ’80.
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